Alicudi, l’isola che ha fermato il tempo
Nella più lontana delle Isole Eolie, ad Alicudi la natura gestisce le giornate. Una meravigliosa oasi dove non esistono le strade, il tempo sembra essersi fermato e la gente vive in armonia con il suo splendido paesaggio, dal fascino intatto anche in inverno.
Testo e Foto di Alessandro Tavilla
La sentenza è stata emessa: Alicudi è colpevole. Del reato di istigazione all’Isolitudine. Un indizio lo aveva dato Gesualdo Bufalino, quando nei suoi testi descrisse perfettamente la singolare sensazione derivante dall’incrocio delle parole Isola e solitudine, che in casi infiniti e maniere molteplici, si verificava e si verifica in Sicilia e in tutte le sue Isole, sia fisiche che mentali, nonché umorali. E le prove schiaccianti sono state raccolte proprio ad Alicudi in un giorno di pieno inverno, in mezzo alle festività natalizie, davanti a pochi testimoni e a una giuria composta da altre sei Isole, le restanti delle Eolie, sedute in fila sui banchi posti all’orizzonte.
Alicudi è la più lontana di queste oasi vulcaniche, la più ardua da raggiungere perché ancora più schiava della Natura, la meno mondana – anzi, mondana non lo è proprio, fortunatamente –, e solo in estate si vede scoprire da alcune centinaia di turisti, divenendo un po’ meno “lontana”. Ma la curiosità era proprio questa: approdarvi, scoprirla, respirarla in inverno, quando è ancora più vera, con le sue poche decine di abitanti e la sua anima rimasta ancorata al passato, e che ha concesso solamente briciole alla tecnologia e alle “diavolerie” che oggi rendono sfrenata la società. Giusto il lecito e l’indispensabile per vivere serenamente, ed essere sufficientemente ancorati al resto del mondo. Ma la libertà che dona Alicudi è proprio come un’ancora che puoi agganciare o ritirare quando lo desideri. Esiste una libertà più grande, mi chiedo?
AD ALICUDI E’ LA NATURA CHE SCANDISCE IL TEMPO
Anche quando è Madre Natura stessa a gestirla, mettendo noi da parte, e decidendo quando e come si possa sbarcare o salpare da Alicudi. E’ lei che tiene in mano gli orologi, che scandisce le fasi del tempo. Gli aliscafi e le navi che arrivano e ripartono sono le sue lancette delle ore e dei minuti, perché con le loro corse e i relativi orari battono il tempo nell’Isola. Basta avvistarli da lontano, da qualunque angolo di Alicudi, per rendersi conto di che ore siano, tranne quando la Natura decide di prendersi beffa di tutti e di capovolgere i programmi di chi vuole o deve arrivare o di chi vuole o deve andare via. Marea, insabbiamenti, vento, condizioni del mare inadatte. Ed ecco che Alicudi diviene ancora più isola delle altre. E magnificamente l’Isolitudine si diffonde tra le sue strade. Anzi no, pardon, ad Alicudi le strade non esistono. Ci sono solamente sentieri e mulattiere che avvolgono l’antico Vulcano, in maniera irregolare ma rispettosa delle sue forme. Ma l’Isolitudine è residente qui da sempre, ed ormai senza fatica si inerpica dal porto verso la cima, senza dimenticare niente e nessuno, impadronendosi dell’atmosfera.
L’ACCOGLIENZA DI ALICUDI E I MULI
Sbarcando ad Alicudi al mattino presto, infatti, quando un bellissimo sole ha deciso di rendere caldo e tranquillo un giorno di gennaio, l’isola ti accoglie subito con la sua figura conica, parte finale di un vulcano inattivo ormai da millenni, che in superficie si alza fino a 600 metri, ma che negli abissi affonda il resto del suo corpo immerso per un chilometro e mezzo ancora. La cartolina che ti appare appena uscito dall’aliscafo è di una serenità sconvolgente e piacevole. Il molo lungo e strettissimo, un bar chiuso che attende l’estate, la biglietteria di navigazione, ma soprattutto le barche a riposo appoggiate ai margini della stradina e i muli. Due muli che sostano ai limiti della banchina, quieti, rivolti verso il mare, che attendono di fare il loro “grave” lavoro, quello di autovetture, autobus, ciclomotori, ossia mezzi di trasporto. L’unico che esiste ad Alicudi. Insieme ai piedi, ovviamente.
GLI INCROCI E GLI INCONTRI AL MOLO DEGLI ALISCAFI
L’approdo dell’aliscafo e la sua ripartenza animano quella striscia del porticciolo per un po’. E’ l’attimo in cui si vede un po’ di “traffico” nell’Isola. Chi arriva e chi va via. Ci ritrovi chi lavora in biglietteria, chi gestisce i muli, ma anche alcuni degli abitanti, che si siedono lì, tra gli scalini bassi che precedono il pontile, e scambiano parole con chi è stato qualche giorno ad Alicudi, curiosi magari delle sensazioni che il loro amato luogo gli ha procurato. E curiosi scrutano chi arriva. Se sia qualche nuovo visitatore, qualcuno già visto e che ritorna, o il medico, l’insegnante, il postino, desiderati e ben accolti specie quando il cattivo tempo per giorni li ha dovuti tenere lontani, con le immaginabili conseguenze per le necessità comuni. Un vociare piacevole, col sole che accende visi scolpiti dai raggi quotidiani e dall’aria di mare, decisamente mediterranei.
Al termine di questo momento di incroci, quando l’aliscafo o la nave girano le spalle all’Isola, tocca alla quiete riprendere il possesso della zona. Agli occhi brillano un’ancora appoggiata al molo e una rete da pesca avvolta e adagiata su un muretto, simboli entrambi di riti che danno vita e cibo alla comunità, ma che necessitano dei loro tempi. E da lì ripartono tutti verso su, perché ci vorranno ore prima di riscendere ad accogliere la prossima imbarcazione.
Si sale dalle mulattiere, alcune impervie, altre con gradini fatti di pietra e muretti a secco. Una di queste parte dalla stradina del porto – l’unica pianeggiante dell’isola, che porta poi ad una delle poche spiagge, a Bazzina, sassosa –, e conduce verso piccole abitazioni sparse ed alcune delle contrade di Alicudi. Esistono, infatti, sei contrade, di cui poche facilmente accessibili e abitate, con le case tutte collocate dal versante occidentale, quello del porto. Alle spalle, invece, l’antico vulcano scende ripido con i suoi sentieri a strapiombo sul mare impercorribili e scavati nei millenni dalle antiche colate laviche.
SALENDO DALLA MULATTIERA
E l’ascesa è una sorpresa continua, mista alla meraviglia del paesaggio, che gradino dopo gradino assume aspetti sempre diversi e variopinti. Si è immersi in mezzo a una natura selvaggia ma non invadente, dove le casette di tanto in tanto si fanno largo. Dimore tipicamente eoliane, con le colonne che sorreggono i tetti piatti e poggiano sui muretti di terrazzini con i sedili adatti a godersi il panorama. L’erica la fa da padrona (non per nulla i greci chiamavano Ericusa quest’isola), ma fichi d’india, capperi, ginestre, e vigne completano la scena, adornando i vari terrazzamenti che insieme alle abitazioni spezzano di tanto in tanto l’asperità di questa parete vulcanica. E il panorama che gradino dopo gradino fa spalancare gli occhi è la più dolce delle scuse per riposarsi ogni tanto, per girarsi di spalle e scrutare sempre da un angolo differente il tutto. Il porto lontano, i tetti delle case superate, e l’orizzonte magnifico dove Filicudi regna onnipresente, dando meno spazio alle altre sorelle vulcaniche, anch’esse però sempre in posa.
Un incanto spezzato da un fischio, un urlo, di chi ti avverte che urge spostarsi dagli scalini, perché stanno arrivando i muli che scendono nuovamente dopo aver trasportato in alto bagagli, spesa, borse. Come in una strada di città qualsiasi, dove un’auto ti avvertirebbe col clacson. E in questa immagine dei muli che scuotono i sassi scuri della scalinata, lentamente, sullo sfondo di un mare lontano e luccicante e di una distesa irregolare di colori di ogni tipo, tra case e vegetazione, ci sta tutto il senso di Alicudi. E’ un’emozione forte, piacevole. Un panorama talmente ampio da scatenarti quasi le vertigini. Senti che il tempo si è fermato, e che lì non hai bisogno di sapere che ore siano, o se ci sia campo, o altre simili futili “problematiche” cittadine. Gli arcudari che incroci ti arricchiscono con le loro parole, le loro storie. Anche un saluto è una brevissima storia. E tutto questo, per chi lo vive, è una scelta, una grande scelta. Me ne accorgo quando a un bivio mi addentro su un vicoletto alberato che costeggia la piccola Chiesa del Carmine, dove trovo un sedile. Una signora incontrata per caso, tedesca di origine, mi svela che da quarant’anni ha deciso di vivere qui, di godere di tutto ciò che offre Alicudi, e lo afferma con una pace che mi mette quasi a disagio, per quanto sia spontanea. E mentre la osservo risalire verso la sua abitazione, ancora più in alto di dove sono giunto io, con quel passo calmo e incurante del tempo, sento che ormai quel benessere si è impadronito dei miei pensieri. E l’Isolitudine mi avvolge e non fa per niente male. Anzi, tutt’altro.
I PAESAGGI E I DETTAGLI DELL’ISOLA LUNGO LA DISCESA
Ma quando le forze per salire ancora più in alto si riaccendono, ecco arrivare il richiamo della Natura. Il mare è in agitazione e il cielo si ingrigisce con il forte vento, ed è così che ci dicono che se dobbiamo andar via, bisogna anticipare la partenza, perché l’aliscafo previsto per il tardo pomeriggio probabilmente non potrà attraccare, e che l’unica soluzione è prendere una grande nave che partirà molto prima. In quel momento vorresti quasi rimanere “prigioniero” e speri inconsciamente che nemmeno la nave riparta. E allora giuri a te stesso di ritornare un giorno, a ricalcare quel tragitto, e a scoprire il resto, salire sino alla cima, al Piano Filo dell’Arpa. E’ più soffice così la discesa, anche perché vedi tutto da una prospettiva visiva diversa. Passando davanti ai belvedere continui, i cancelletti in ferro degli orti delle case, il fruscìo del bucato steso e l’odore di cucina casalinga che viene dagli interni di una casa, la cui porta d’ingresso ha una tenda che sventolando non fa altro che stuzzicare l’olfatto.
Dopo aver superato l’ufficio postale (aperto non tutti i giorni), mi accorgo che ho dimenticato un attrezzo della macchina fotografica ad un certo punto della salita. Arrampicarsi nuovamente e soprattutto di fretta è faticoso, certo, ma è un’opportunità per sentirsi ancora arcudaro per un po’, riprovando ancora quelle insolite vertigini scendendo.
Quando dall’alto si vede la “sorella” Filicudi che spedisce la nave, ricomincia il momento di socializzazione collettiva al porticciolo. Seduto su un muretto ammiro quel vociare e quelle facce davvero disintossicate da questa oasi, davanti a un molo che meno di 30 anni fa non permetteva nemmeno lo sbarco di grosse imbarcazioni, ma solo del “rollo”, una barca che andava a prendere al largo, dalle navi, i passeggeri, per portarli a riva.
LA VISTA SULLE ALTRE ISOLE EOLIE E L’ISOLITUDINE
Ed ecco, nell’attesa, quell’orizzonte di cui parlavo all’inizio. Le Isole Eolie in fila, Stromboli, Filicudi, Salina, Vulcano, Lipari, con sullo sfondo anche la cima più remota e innevata dell’Etna. Una festa dell’Isolitudine, che vedo davanti a me, e che scoppia dentro. E chi è nato in un’Isola, e in particolare in Sicilia, la riconosce immediatamente.
Poi arriva la nave ed è tempo di andar via. Ma Alicudi merita il ritorno, e di essere raccontata ancora, rivissuta completamente e anche in altre stagioni. Magari facendo finta di aver dimenticato qualche altro pezzo di macchina fotografica, così da essere piacevolmente “costretti” a ritornare. E ad Alicudi si ritorna sempre.