Tour fra i Santuari della Calabria
Non solo mare, ma anche natura e spiritualità. Un tour fra i santuari della Calabria, fra lo Ionio e il Tirreno, sulle tracce di una storia millenaria
Ho deciso di visitare questa Regione partendo dal suo lato meno conosciuto; così, invece di scendere verso il mare, sono salita verso le montagne e i santuari della Calabria.
Di Debora Bergaglio
“L’uomo è nato nomade e forse le prime forme di spostamento sono state proprio quelle alla ricerca di un luogo sacro, reso tale magari da un evento inspiegabile che suscitava domande. Ecco che sorge la voglia di camminare e mettersi in movimento verso i luoghi sacri”. Trovo queste parole di Mons. Mario Lusek (Direttore dell’Ufficio per la Pastorale del Tempo libero, Turismo e Sport della Cei) perfette per descrivere l’essenza del turismo spirituale o religioso. Se è vero, infatti, che il viaggio è da sempre una metafora dell’esistenza, ci sono viaggi che più di altri interpretano questa continua ricerca dell’uomo alla scoperta di sé. Un viaggio di questo tipo, tra il religioso e lo spirituale, l’ho sperimentato in Calabria, una Regione che ha molto da svelare oltre i ben noti 780 km di coste. Tra natura, sport e spiritualità, sulle montagne affacciate sul mar Ionio e il Tirreno, ho scoperto il volto spirituale di questa terra ricca di potenzialità talvolta inespresse; ed ora riesco a comprendere meglio la frase di Gioacchino da Fiore: “Nella Sila si percepisce la voce del silenzio e del creatore”.
Il mio insolito tour fra i Santuari della Calabria si articola in quattro tappe, una più affascinante dell’altra: il Santuario di S. Francesco di Paola (Paola), il Santuario della Madonna delle Armi a Cerchiara, le chiese di S. Adriano e S. Demetrio Megalomartire a S. Demetrio Corone e l’Abazia Florense a S. Giovanni in Fiore.
Se siete quel tipo di viaggiatore che non si accontenta di una vacanza di solo mare, ma volete condire il viaggio di natura, arte, storia e spiritualità, vi consiglio di prendere spunto da questo itinerario che abbiamo provato per voi e che si snoda nella provincia di Cosenza, tra le montagne che affacciano sui due mari, con base di partenza a Rende, nel comodo ed attrezzato Villa Fabiana Palace Hotel.
PRIMA TAPPA: IL SANTUARIO DI S. FRANCESCO DA PAOLA
Una tortuosa strada a curve mi porta al grande complesso conventuale che si trova ai piedi dell’Appennino calabro, nella Riviera dei Cedri o Alto Tirreno Calabrese, nel Comune di Paola (CS).
Sembra quasi impossibile credere che tutto questo si sviluppò intorno ad una prima cappella fondata da un eremita poi diventato Santo. Eppure fu proprio così. S. Francesco di Paola, fra i santi patroni della Calabria, fondatore dell’Ordine dei Minimi, aveva scelto proprio questo luogo aggrappato alle montagne e affacciato sul mare per iniziare la sua vita eremitica. Aveva solo 14 anni quando prese quella decisione e visse fino all’età di 91 anni, un vero record per quei tempi. Verrebbe quasi da pensare che la meravigliosa vista sullo Stromboli e l’Etna (visibili nelle giornate più limpide), insieme all’aria buona e alla pace della natura potessero aver contribuito a questa vita così lunga, chissà. Ma S. Francesco di Paola fu anche un viaggiatore, tanto che il suo culto si diffuse in Spagna, Portogallo e nelle Americhe; inoltre il suo più famoso miracolo riguardò l’attraversamento dello Stretto di Messina, che riuscì a compiere creando miracolosamente una vela, nel 1464, senza avere altri mezzi a disposizioni. Da allora diventò anche il protettore degli uomini di mare.
LA VIA DEI MIRACOLI
Il Santuario è raggiungibile anche a piedi partendo da S. Fici, attraverso le strade di montagna. Una volta arrivati al complesso, è possibile percorrere una sorta di VIA DEI MIRACOLI, ovvero un percorso segnato dai miracoli del Santo, che comprende le seguenti tappe: la fornace – la fonte della cuccchiarella – il ponte del Diavolo – le grotte della penitenza e poi l’itinerario prosegue scendendo una scalinata verso il romitorio, la Basilica e la cella di S. Nicola. Particolarmente suggestivi sono il chiostro, per quella silenziosa pace che emana, e le grotte della penitenza, debolmente illuminate da una fiamma che assume i contorni e i colori della speranza, per chi si sofferma ad ammirarla. La festa del Santuario si celebra il 2 e il 4 maggio, con una suggestiva processione.
SECONDA TAPPA: IL SANTUARIO DI S. MARIA DELLE ARMI
Riprendo il viaggio in direzione del Comune montano di Cerchiara, a mille metri sul mare, nell’alto Ionio Cosentino. Salgo sempre più in alto alla scoperta delle montagne della Calabria, e mi ritrovo sul Monte Sellaro, nel Massiccio del Pollino. Sembra di lasciare il mare alle proprie spalle, mentre si sale curva dopo a verso le più alte vette della Regione, ma in realtà, una volta giunti al santuario mariano, ci si rende conto che il mare è sempre là, brillante e splendente, anche se l’aria è quella di montagna e si sente il suono dei campanacci delle vacche al pascolo.
Indubbiamente il più bel balcone naturale sul mare di Calabria che io abbia visto nel corso di questo tour fra i Santuari della Calabria. Prima ancora di entrare in quello che rappresenta una meta secolare di pellegrinaggi per le popolazioni calabresi e della Basilicata, assaporo tutto la bellezza di uno scenario che tiene insieme, armoniosamente, le montagne e il mare. E si sente il suono della pace, rotto solo da quello della natura. Il Santuario è letteralmente aggrappato alla roccia, tanto da sembrare un tutt’uno con la montagna, senza soluzione di continuità. Del resto, quando fu costruito (nel 1440 su un antico eremo greco bizantino) doveva inglobare al suo interno la grotta che custodiva la miracolosa immagine nera della Madonna, oggi conservata in una teca d’argento.
Come andarono le cose? E perchè si chiama S. Maria delle armi? Questo ve lo racconterà con passione e slancio il Sig. Francesco, detto Ciccio, che dal 1980 è il custode di questo luogo straordinario, in cui vive insieme alla sua famiglia. Nel Medioevo, proprio in una di queste grotte a ridosso del santuario, furono ritrovate da alcuni cacciatori delle tavolette bizantine, una delle quali conteneva l’immagine della Beata Vergine. “Armi” deriva dal greco, e significa “grotte”, ecco spiegata l’origine del nome, che parrebbe contrastare con la pace del luogo.

Tutta raccolta in ambienti piccoli e a volte angusti, preceduti da un breve colonnato, la chiesa si affaccia e ritrova spazio verso il mare e fra i sentieri in mezzo ai boschi e gli slarghi che la circondano, consentendo ai “pellegrini” di godere appieno di questo scorcio inatteso di Calabria. Il Sig. Francesco ci racconta che ogni domenica sale il parroco di Cerchiara per celebrare la messa. Inoltre, il 25 aprile di ogni anno si festeggia la Madonna con una caratteristica processione che, intonando antichi inni alla Vergine, si snoda fra i sentieri di montagna.
TAPPE GOLOSE: IL PANE DI CERCHIARA
Per completare la visita in questa zona così sorprendente della Regione, vi suggerisco di percorrere i sentieri tracciati dal Cai, che qui non mancano, ma anche di fare una tappa al Paese di Cerchiara per assaggiare il famoso pane di Cerchiara, presidio Slow Food, decantato dal gastronomo Beppe Bigazzi, fatto con grani teneri locali, macinato a pietra e ancora impastato fedelmente dalle madri. Oggi esistono nove panifici e il pane non è l’unica tipicità di questa parte di Calabria che ospita bellezza e offre solo buoni frutti. Ricordiamo, per esempio, anche la sopressata dolce e bianca. Molto piacevole la nostra visita al panificio di Vito Elisa, che ci ha accolto mostrandoci le fasi di lavorazione e offrendoci una favolosa degustazione a base di pane.
PRANZO A VILLAPIANA: ORTO DELLA SIGNORA
Al ristorante “Orto della Signora” a Villapiana (CS) ho avuto modo di incontrare l’autentica cucina calabrese, con i suoi sapori forti e piccanti, la grigliata di carne, l’agnello, le carni di vacca podolica, e tante specialità servite da un personale cortese e attento alle tradizioni. Un altro modo per conoscere un territorio consiste infatti nel fermarsi nei luoghi “giusti” per assaporare i frutti della terra e le tradizioni gastronomiche.
TERZA TAPPA: LA CULTURA ARBËRESHE A SAN DEMETRIO CORONE
Prima di visitare questo paese a 521 metri di altitudine sulle colline che salgono verso la Sila Greca, non conoscevo le comunità albanesi in Italia. Intendo dire che non avevo mai visitato, in Italia, un luogo così pervaso dalla cultura, la musica, i costumi e le tradizioni del popolo albanese, che prendono qui il nome di comunità arbëreshe. Scopro, quindi, che S. Demetrio Corone è stato fondato da esuli albanesi alla fine del 1400 per via della dominazione turco-musulmana nei Balcani.
Il Paese è un centro importante in quanto sede del “Collegio Italo-Albanese di Sant’Adriano” (1732-1794), un organismo religioso e culturale di una certa importanza, con l’obbiettivo di conservare il rito orientale e le tradizioni albanesi. Vi suggerisco due tappe per lasciarvi stupire dall’arte, la storia e la spiritualità di questa comunità: la Chiesa di S. Adriano e la Chiesa di S. San Demetrio Megalomartire. Quasi povere all’esterno, semplici e umili, queste due architetture celano tesori di grande bellezza. Nella Chiesa di S. Adriano, in cui si mescolano diversi stili, sono stata letteralmente rapita dai mosaici bizantini sul pavimento, che simboleggiano la lotta tra il bene e il male. Si cammina a testa in giù per apprezzare quel che resta di un racconto antico, che tratta temi universali, capaci di arrivare sino ai giorni nostri.
Ancora più entusiasmante è stata la visita alla Chiesa di San Demetrio Megalomartire, grazie all’incontro con Don Andrea Quartarolo, che ci ha illustrato con passione e dovizia di particolari il significato di gesti, oggetti sacri e opere d’arte di questa Chiesa così ricca di mosaici colorati da lasciare senza parole. Don Andrea, la cui abilità oratoria convincerebbe anche un ateo alla conversione, mi fa capire come in ogni struttura religiosa ci sia un racconto da svelare. Una narrazione fatta di immagini e simboli. E’ la prima volta che varco la soglia di una Chiesa di rito bizantino e il sacerdote mi aiuta a coglierne le differenze, come la posizione dell’altare, (in marmo rosa proveniente dalla Palestina) che qui si trova alla sinistra.
Come ad Assisi, nella Porziuncola, troviamo una piccola cappella originaria inglobata in una Chiesa più grande. Inoltre, una parte dell’altare è celata da una tenda che può essere varcata solo dal vescovo e dal sacerdote, a simboleggiare l’apertura al mondo per ottenere la salvezza, la gioia e la luce. L’interno si divide in tre navate, con pareti ricoperte da stucchi e dipinti raffiguranti scene del Nuovo Testamento e poi la rappresentazione dell’Ultima Cena. Ma sono i mosaici colorati e le volte così ricche di scene e messaggi a catturare tutta la mia attenzione.
QUARTA TAPPA: SAN GIOVANNI IN FIORE
Ancora un viaggio tra le belle e protettive montagne della Sila, questa volta costeggiando un’antica ferrovia in disuso, recuperata a scopi turistici e che ospita anche un agriturismo fra i suoi vagoni. La meta è S. Giovanni in Fiore e la strada è un susseguirsi di pascoli di bestiame, foliage, pace e contemplazione della natura. Quella stessa natura che aveva ispirato ed incantato Gioacchino Fiore, l’abate che nel Medioevo visse in questi luoghi e da cui il Paese di S. Giovanni trae parte della sua denominazione.
“Nella Sila si percepisce la voce del silenzio e del creatore” amava ripetere l’abate studioso, che Dante aveva collocato nel Paradiso. Qui, in questo piccolo e raccolto borgo dell’entroterra calabrese, egli fondò l’Abbazia Florense (XII Secolo), più volte rifatta e alterata, ma concepita seguendo i dettami del suo pensiero. Una filosofia che ancora oggi attira molte persone da tutto il mondo, studiosi e studenti, in visita all’Abbazia e al centro Studi Gioachimiti. Gioacchino da Fiore sembra infatti essere uno degli italiani più studiati al mondo, grazie al quale questo paese, che altrimenti non avrebbe un futuro certo, è diventato meta di pellegrinaggio culturale e spirituale.
Ogni cinque anni si tiene un congresso internazionale e molte sono le iniziative e le giornate di studi per approfondire i motivi di un’influenza che dura da otto secoli. Forse il motivo risiede nel nome “Fiore”, che significa “speranza”, ovvero un messaggio rivolto verso una nuova età, una sentimento di fiducia nel futuro, che costituisce il nocciolo del pensiero dell’abate.
Secondo molti studiosi, infatti, egli ebbe il grande merito di liberare gli uomini dal terrore della storia e della paura della fine del mondo. Per Gioacchino da Fiore, infatti, la storia doveva avere una dimensione trinaria, proprio come il creatore, che è uno e trino. Il tempo si divide perciò in tre età: l’età del padre, del figlio e dello spirito santo e il presente è una compenetrazione del passato e contiene un’anticipazione del futuro. Un pensiero decisamente rivoluzionario per la sua epoca e un messaggio ai posteri custodito nell’Abbazia Florense, così slanciata verso l’alto e nel Centro Studi, dove è possibile esaminare e consultare i molti disegni a cui l’abate affidava il compito di illustrare il proprio pensiero.
Una passeggiata nel centro di S. Giovanni, fra le sue botteghe e i suoi vicoli, completa la visita di questo borgo pervaso da un messaggio di speranza per il futuro di tutti noi. E qui si conclude anche il mio tour tra i Santuari della Calabria e le Chiese che meritano un viaggio e una visita all’insegna di un turismo insolito, più intimo e spirituale.