Milano sotterranea: la “Statale” si racconta
Con questa straordinaria esclusiva, Buonviaggioitalia.it vi racconta, in quello che potremmo definire un “dossier”, (che vi suggeriamo di stampare o salvare e conservare), il cuore pulsante di questa Milano sotterranea e sconosciuta. Buona Scoperta
L’Università degli Studi di Milano, conosciuta dai milanesi semplicemente come Statale, non è soltanto un luogo dove il sapere si diffonde da decenni trasmesso da nomi famosi a migliaia di studenti.
ASPETTANDO GLI ESAMI…
L’edificio, che si apre da una traversa della trafficata Via Larga, racchiude in sé un’importante testimonianza della storia della città. Quella storia che si fa concreta tra i chiostri dove ora ragazzi ripassano prima di un esame o si rilassano tra una lezione e l’altra. Una storia che parla di un grande progetto rinascimentale diventato realtà funzionale dall’altissimo livello innovativo. Una storia che ci è stata restituita dopo i gravi bombardamenti del 1943 grazie all’opera impegnativa e geniale di un restauro conservativo realizzato da diversi progettisti, tra cui l’architetto Liliana Grassi.
UN MODELLO PER L’EUROPA
Entrare nelle viscere di quello che era lo “spedale Ca’ Granda” e accedere agli ambienti protetti e invisibili ai più, è un’emozione che ha percorso la nostra attesa. E ora, in una giornata di metà aprile ci apprestiamo ad affrontare questa avventura grazie alla disponibilità dell’Ufficio tecnico, dell’Ufficio relazioni con il pubblico e al Rettorato che ci hanno permesso di scoprire, conoscere, meravigliarci e trasmettere questa esperienza.
Il punto di partenza per questo sopralluogo speciale è il cortile centrale, chiamato anche d’onore, costruito nel Seicento dal Richini. E’ qui che viene scattata la classica foto dopo essersi laureati. E’ qui che la maestosità del luogo fa assaporare la grandezza dell’Ospedale modello per l’Europa dell’epoca.
UN PO’ DI STORIA
Fino al Quattrocento la realtà ospedaliera milanese risultava molto variegata e presentava diversi enti prestigiosi sorti spontaneamente, gestiti e amministrati secondo norme e consuetudini diverse, cui si era sovrapposto l’alto controllo delle gerarchie ecclesiastiche. Molti di questi ospedali erano stati fondati da laici, frutto di quella religiosità delle opere che vedeva nell’assistenza ai bisognosi il primo dovere del buon cristiano e una responsabilità sociale in quanto rappresentanti del ceto dirigente.
Funzione primaria degli ospedali era quella di offrire agli indigenti cibo e sovvenzioni, e solo secondariamente quello di offrire ricovero e cura ai poveri infermi. Con l’aumento demografico urbano, con le cicliche epidemie e con le crisi economiche che ne conseguivano, la situazione assistenziale era diventata carente a causa di mancanza di cure, di investimenti, di iniziative autonome. Occorreva quindi intervenire per precisare responsabilità e competenze, ridisegnando la mappa dell’assistenza cittadina. Negli anni Cinquanta del XV secolo, con difficoltà, anche da parte papale, si decise, con Francesco Sforza, l’unificazione degli ospedali e dei rispettivi patrimoni in un unico ente, cui venne proposto un organo collegiale, i Deputati dell’Ospedale, in cui figuravano i nomi più importanti del patriziato cittadino. La componente laica era determinante, sebbene la nomina spettasse all’arcivescovo che sceglieva da una rosa di candidati.
1456: LA PRIMA PIETRA
Nell’aprile 1456 venne posta, con cerimonia solenne, la prima pietra dell’Ospedale Grande fortemente voluto da Francesco Sforza e da sua moglie Bianca Maria Visconti. La realizzazione della nuova sede, oltre che a criteri di bellezza e di grandiosità, doveva rispondere in modo razionale ai tanti problemi che una struttura così complessa e polifunzionale presentava. A tal fine i progettisti designati, il Filarete, che godeva del favore ducale e il lombardo Della Porta, furono inviati in Toscana per studiare le soluzioni architettonicamente già realizzate, sia in relazione alla forma degli edifici, sia soprattutto all’organizzazione degli spazi interni. Crescendo il numero dei ricoverati, bisognosi o malati, il Filarete progettò e realizzò l’ariosa crociera.
Cortile della Legnaia
IL PROGETTO DI FILARETE
Il progetto filaretiano prevedeva due corpi simmetrici a pianta quadrata collegati tramite portici ad un grande cortile a pianta rettangolare, nel cui centro sarebbe stata stata costruita la chiesa. Tale progetto rispondeva ai canoni dell’architettura quattrocentesca, ma conservava un elemento medievale rilevabile nella divisione dei due corpi in quattro piccoli chiostri indipendenti come organismi monastici. Il Filarete realizzò il progetto solo in parte, seguì di persona la costruzione della crociera destra: i cortili farmacia e bagni, iniziati negli anni Sessanta del Quattrocento. La costruzione degli altri due cortili (cortile ghiacciaia e cortile legnaia) risale al 1486. I lavori di ampliamento dell’Ospedale Maggiore, iniziati dal successore di Francesco, il figlio Galeazzo Maria Sforza, rimasero sospesi fino alla fine del Cinquecento quando si decise la costruzione della chiesa dell’Annunciata al centro del cortile e che successivamente, trovò la definitiva collocazione lungo il lato prospiciente l’ingresso.
UNA CITTA’ NELLA CITTA’
Da una descrizione del 1508 del deputato Guino, si apprendono le funzioni del personale che lavorava nell’Ospedale, ciascuno con specializzazioni e competenze diverse: sacerdoti per garantire i servizi religiosi ritenuti indispensabili quanto le cure mediche (un altare si trovava all’incrocio dei bracci della crociera), quattro medici (uno per braccio), diversi chirurghi, speziali per preparare medicine, una folla di inservienti al servizio dei ricoverati, cuochi, lavandaie, addetti ai servizi.
Inoltre personale amministrativo all’interno del quale i distinguevano notai, cancellieri e il tesoriere, ingegneri, architetti, capomastri e muratori per laFabbrica in continua evoluzione. Un mulino ad acqua, di cui, durante i restauri degli anni ’50, sono state trovate le macine, assicurava la farina necessaria per il pane cotto nei diversi forni tuttora rintracciabili. Una serie di botteghe si aprivano verso l’esterno, sull’attuale Largo Richini. Questa rappresentazione mostrava una città nella città. (FOTO: armadietti)
I CORTILI: TESTIMONI DI UN PASSATO CHE RIVIVE
Il nostro viaggio inizia dai quattro cortili posti a destra del cortile d’onore, due dei quali (cortile farmacia e cortile bagni) non sono aperti al pubblico. Il geom. Scandale ci fa da Cicerone e risponde ad ogni nostra curiosità lungo luoghi silenziosi testimoni di un passato che assiste al presente. Il cortile farmacia, che non è stato scavato perché non vi sono rilievi interessanti, è denominato così perché era adibito allo stoccaggio di tutto il materiale farmaceutico utilizzato per l’ospedale.
Ora il cortile è tenuto chiuso perché accanto ci sono le sale di rappresentanza. Il cortile bagni, parzialmente scavato. era una zona coperta, infatti si possono ancora notare i fori di sostegno delle coperture. Qui i degenti venivano lavati nelle vasche, tuttora visibili che erano riscaldate come avveniva nelle terme romane.
La rete di scolo delle acque era direttamente collegata al Naviglio presente appena fuori dove si trovava anche la Darsena che accoglieva i barconi per il trasporto di cibo, materiale di vario genere. A differenza dei cortili di farmacia e bagni, quelli della ghiacciaia e della legnaia sono aperti e tuttora sono denominati rispettivamente di Filosofia e di Storia perché nei sotterranei si trovano le biblioteche dei due corsi. La Ghiacciaia e la Legnaia erano integri fino ai bombardamenti del 1943. I resti furono reintegrati durante il restauro dell’ospedale effettuato nel dopoguerra, tuttavia si ritiene che i due ambienti siano stati utilizzati fino alla Seconda Guerra Mondiale. Il loro restauro è iniziato nel 1995. La Ghiacciaia fu costruita al centro del cortile filaretiano sudoccidentale. Il luogo, a pianta pseudo-ottagonale, fu realizzata interamente in laterizi. Essa ospita un ambulacro ad anello con soffitto a volta, che circonda l’ampio bacino circolare adibito alla conservazione della neve.
La pianta non è perfettamente ad anello: sul lato nord-orientale, esso è interrotto da due scale di andamento opposto, che da un comune pianerottolo consentono la discesa al piano inferiore. Vi sono ancora alcuni ganci che originariamente erano utilizzati per appendere carni o altre derrate. Lungo le pareti dovevano essere disposte anche delle mensole, delle quali sono stati trovati i fori di fissaggio. L’ambulacro doveva avere due piani, mentre il bacino del ghiaccio presentava un’unica grande camera.
Nelle foto prebelliche, la struttura ottagonale della Ghiacciaia aveva un tetto a spioventi ed era coronata da una pigna recuperata tra le macerie nel 1995. L’ambiente rispondeva perfettamente alle indicazioni teoriche dettate dagli architetti del tempo e appare progettata con grande cura per ottenere la piena funzionalità dell’impianto migliorando molto le condizioni igieniche, alimentari e terapeutiche (con l’utilizzo della neve) della vita ospedaliera ed esponendo così la Ca’ Granda all’avanguardia per la qualità dell’assistenza ai malati. (FOTO: cortile della ghiacciaia)
Gli scavi hanno evidenziato la presenza di un lungo corridoio voltato che metteva in comunicazione diretta il bacino del ghiaccio con il Naviglio, permettendo un sistema sconosciuto altrove di riempire la ghiacciaia direttamente dai barconi che lo avevano trasportato dai luoghi di produzione.
La Ghiacciaia viene menzionata per la prima volta in una delibera del 1638 con il nome di cella nivaria. Come la Legnaia è stata scavata a partire dal 1992 sotto la direzione della Sovraintendenza che appoggiò la decisione di un intervento conservativo.
Il cortile della Legnaia, originale del Quattrocento, è stato chiamato in questo modo perché, durante il rinvenimento, fu trovato un bacino fognario riempito di resti di legname e di fascine. Presenta intonaci su un fronte del loggiato. Dagli scavi dei due cortili sono state recuperate diverse ceramiche di età romana, databili dal II secolo a. C. al IV secolo d. C., altre, invece provengono dall’antica spezieria dell’ospedale, la cui attività iniziò nel 1470. (FOTO: Darsena)
ALLA SCOPERTA DELLA CROCIERA: CAPOLAVORO DEL FILARETE
Dopo la visita ai cortili, ci addentriamo nella Sottocrociera, appunto a forma di croce, un tempo deposito dell’ospedale e che ora ospita una delle tante biblioteche dell’università. È qui che scopriamo i cunicoli che collegavano i diversi ambienti.
Stretti e angusti, alcuni alti solo 80 cm, ci fanno capire quanto la nostra altezza sia notevolmente cresciuta rispetto a quella di coloro che nel Quattrocento frequentavano la Ca’ Granda.
Se un tempo questi erano suggestivi passaggi sotterranei, poi convertiti, durante la Seconda Guerra Mondiale in rifugi antiaereo, oggi accolgono la meno affascinante zona impiantistica. Al piano superiore, in corrispondenza della Sottocrociera, si trova la Crociera, che, progettata dal Filarete, accoglieva letti doppi e tripli con una divisione rigorosa tra uomini e donne.
Si possono ancora ammirare alle pareti le rientranze nel muro che fungevano da armadietti con tanto di binario per le mensole sulle quali i degenti riponevano i loro effetti personali.
Questo ambiente, punta di diamante di tutto il complesso ospedaliero, distrutto in seguito ai pesanti bombardamenti del 1943 è tornato al suo status originale grazie ai lavori di restauro conservativo terminati all’inizio degli anni ’80.
Il Geom. Colombo ci racconta, in modo appassionato, che la protagonista di questo lavoro complesso e dai risultati sorprendenti è stata l’architetto Liliana Grassi la quale, recuperando e studiando il trattato del Filarete, con la collaborazione della Prof.ssa Finoli, docente di Filologia Romanza, ci ha regalato il fulcro della Ca’ Granda come era un tempo.
Anche se la crociera è stata adibita a sala lettura per gli studenti di giurisprudenza e di lettere e filosofia, non è difficile immaginare questo luogo cinquecento anni fa. Al posto delle 228 postazioni, degli scaffali, dei computer, vi erano letti, giacigli che accoglievano malati come indigenti, anziani come giovani. Accanto alla Crociera vi sono i cosiddetti Destri, corridoi di servizio, percorribili a L, chiusi al pubblico, che fungevano da bagni, da scolo per i materiali organici.
I Destri venivano ripuliti dall’acqua dei Navigli che li riempiva attraverso tubazioni. Questa fu un’altra grande innovazione che distinse l’Ospedale in tutta Europa.
IL RESTAURO: L’OPERA DI LILIANA GRASSI
Se “lo spedale de’ poveri” fu il capolavoro del Filarete, il suo restauro è stato il capolavoro dell’intensa attività dell’architetto Liliana Grassi, espressione della sua collaudata e indiscussa esperienza tecnica e della sua sensibilità di artista e di storica. Il lavoro di restauro dovette non soltanto affrontare le conseguenze dei gravi bombardamenti del 1943, ma anche il grave stato di deturpazione che aveva rovinato, nei secoli, l’edificio: quasi tutte le arcate dei cortiletti e dei porticati erano chiuse con murature, i cornicioni erano abrasi allo scopo di ricavare nei sottotetti locali vari, nella facciata erano otturati gli archi filaretiani e le bifore erano manomesse o distrutte.
I bombardamenti abbatterono una parte che dà su via Festa del Perdono e distrussero quasi per metà la facciata su via Francesco Sforza con gravi conseguenze ai cortiletti quattrocenteschi, alla crociera e al cortilone richiniano. Il restauro aveva una sola parola d’ordine: conservativo, cioè rispetto per i monumenti antichi attraverso l’analisi documentata del trattato filaretiano in particolare, come detto, per la ricostruzione della crociera.
Ciò è stato applicato anche alla facciata di via Francesco Sforza e ai chiostri sforzeschi. In mezzo ai cumuli di macerie fu particolarmente laborioso ritrovare i vari pezzi dei bassorilievi frantumati e altrettanto faticosa la ricomposizione in modo che ogni pezzo ritrovasse la sua giusta posizione. Oggi il cortile si presenta com’era un tempo. Soltanto ad uno sguardo attento si possono scorgere i punti dove non è stato possibile ritrovare i pezzi mancanti. Le integrazioni sono state limitate per garantire non soltanto la stabilità del complesso, ma anche la sua unità compositiva.
Questo tour coinvolgente tra i meandri inaccessibili e quelli vivacizzati dagli studenti si conclude sulle parole del Geom. Colombo che ci accompagnano verso l’uscita da questo luogo autorevole, ma intimamente accogliente, che ci ha aperto il suo cuore pulsante.
FOTO: di Marta Ciotti
RINGRAZIAMENTI
Un ringraziamento speciale va al Geom. Colombo e al Geom. Scandale per la loro disponibilità, all‘ufficio relazioni con il pubblico e al Rettorato che ci hanno permesso di trasformare la nostra richiesta di visitare la Ca’ Granda in realtà.
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