Genova, Boccadasse e i cantautori genovesi

Da Fabrizio De André a Luigi Tenco, da Bruno Lauzi a Gino Paoli e poi al divertentissimo comico Gilberto Govi. Ambasciatori di una Genova fatta di splendidi scorci e crêuze di mare, come Boccadasse


Testo di Federica Torassa, fotografie di Vittorio Puggioni

Si dice spesso che ci accorgiamo di  quanto qualcuno o qualcosa era importante per noi, quando ne siamo distanti. La stessa sensazione,  che si prova nel momento in cui ti allontani da una città come Genova: quando ci vivi, la trovi caotica e vorresti andartene, ma quando la lasci, capisci che invece aveva molto da offrirti.

Ti manca tutto di lei: i colori, i profumi, i rumori, le persone che la animano con il loro vociare, che si fa più fitto nelle strette vie dei caruggi, dove ti rendi conto che Genova è la città più viva del mondo. Lei ti avvolge, ti abbraccia con i suoi monti, ma senza soffocarti perché di fronte hai il mare, quel mare che ti affascina e che ti incanta, riflettendo con le sue acque, l’anima di una città vera. Ha ragione Paolo Conte, quando dice: “Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così che abbiamo noi quando guardiamo Genova“. È lo stupore che si prova, imboccando la sopraelevata, il sipario che si apre sullo spettacolo della Superba.

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Proprio all’uscita della sopraelevata, percorrendo tutto il lungomare di Corso Italia, tra le persone che passeggiano e gli stabilimenti balneari che, come dei fotogrammi, si susseguono uno dietro l’altro, si arriva ad una Chiesa, il punto di inizio di quella parte della città, che ogni volta che rivedo non smette mai di emozionarmi e di lasciarmi senza fiato. Quando la osservo, è come se la scoprissi per la prima volta, è come se di fronte a me, ci fosse un pittore che la sta disegnando sulla sua tela, con la tavolozza piena dei colori del mare: sto parlando della meravigliosa Boccadasse.

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Crêuza de “Bocca d’azë” e Piazza Nettuno

La “bocca dell’ asino” (bocca d’azë), questo è il suo significato in dialetto genovese per via della forma della baia, è un antico borgo di pescatori, immerso nel contesto cittadino, in cui il tempo è un unità di misura che non esiste, un mondo a sé  stante intriso di storia, di arte e soprattutto di musica. Si, la musica, quella che ti suggerisce  il mare, sul belvedere Edoardo  Firpo, una terrazza sulla distesa azzurra, e che ti accompagna mentre, dalla chiesa di Sant’Antonio, inizi a scendere verso la spiaggia, attraverso la mulattiera fatta di  pietre ai lati e mattoni al centro: la famosa Crêuza.

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Ogni passo su quei mattoni, che anche nelle giornate piovose riescono a darti la sensazione di calore, scandisce una melodia, che a mano a mano, sembra addirittura provenire dalle finestre delle abitazioni color pastello, tutte raggruppate intorno a quella strada, quasi a volerla proteggere.

“Umbre de muri muri de mainé  (Ombre di facce facce di marinai)
dunde ne vegnì duve l’è ch’ané  (da dove venite dov’è che andate)
da ‘n scitu duve a l’ûn-a a se mustra nûa  (da un posto dove la luna si mostra nuda)
e a neutte a n’à puntou u cutellu ä gua”  (e la notte ci ha puntato il coltello alla gola)

Non esiste colonna sonora migliore del brano del grandissimo cantautore Fabrizio De André: mentre nella testa e nel cuore ti godi  le note di “Crêuza de Mä”,  il chiacchiericcio delle persone ti fa capire che si è arrivati in piazza Nettuno, cornice della spiaggia di Boccadasse: un piccolo angolo di paradiso, che racchiude tutto un mondo, la Genova vera, con la sua gente e le proprie abitudini.

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Chi si lascia cullare dal sole, chi passeggia mano nella mano, chi fa la coda nelle gelaterie che da decenni deliziano il palato e chi si scatta foto sugli scogli. Nemmeno il freddo dell’inverno  riesce a rubare la straordinaria bellezza e vitalità ad un luogo così ricco di sfumature.

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A riempire ancora più  di “vissuto” questo scenario genovese per eccellenza, ci sono le barche: sono lì, sulla spiaggia, custodi di un tesoro inviolabile della tradizione della città di Genova, testimonianze di un passato che continua a vivere nel presente. Mentre le osservo, non posso non immaginarmi quel pescatore, con un solco lungo il viso, che si assopisce all’ombra dell’ultimo sole.

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Non è semplice descrivere lo splendore  di Boccadasse: bisogna osservare dal vivo lo spettacolo, simile ad un dipinto ad acquerello,  che le tinte delle case creano sulla superficie dell’acqua, e bisogna esser su quella spiaggia, nelle sere d’estate, momento in cui tutto diventa ancora più magico.

LA CREUZA DI PROFUMI GENOVESI E CAPO DI SANTA CHIARA

Proseguendo per piazza Nettuno, ecco un’altra crêuza: quello che colpisce è il profumo che si respira in questa stradina. È come se lì rimanessero “intrappolatate”, nello stesso modo  di un pesce nella rete del pescatori, le fragranze  che provengono dai vari ristoranti e locali del borgo. Perché a Boccadasse, si può fare di tutto: mangiare piatti tipici su una terrazza sul mare, concedersi un’aperitivo in compagnia al tramonto, rinfrescarsi dalla calura estiva con un bel gelato e, perché no, anche sognare ad occhi aperti. Salendo per la  crêuza, mentre ti lasci rapire dagli scorci dell’acqua azzurra che si intravedono tra le abitazioni, quegli aromi di Genova, fatti di frittura di pesce, vino bianco e salsedine, ti riportano nuovamente ai versi dell’immenso Faber:

“E a ‘ste panse veue cose che daià   (E a queste pance vuote cosa gli darà)
cose da beive, cose da mangiä  (cose da bere, cose da mangiare)
frittûa de pigneu giancu de Purtufin   (frittura di pesciolini, bianco di Portofino)
çervelle de bae ‘nt’u meximu vin  (cervelli di agnello nello stesso vino)
lasagne da fiddià ai quattru tucchi  (lasagne da tagliare ai quattro sughi)
paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi”  ( posticcio in agrodolce di lepre di tegole)

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E più ti addentri nella mulattiera, più sui visi che incontri, o meglio, per dirlo in genovese, sui “muri”, sembra di vedere le espressioni di quei marinai, che non si sa da dove provengano e dove siano diretti; ogni parte del paesaggio di fronte a me  racconta una storia, ogni angolo di Boccadasse è una canzone già scritta o ancora da comporre.

Quanta vita vissuta si “assaggia” sulle crêuze: mi sembrano dei passaggi segreti, forse per via delle abitazioni che, schierate così vicino, danno l’impressione di custodirli gelosamente. Vorrei che non finissero mai, perché è bello camminare su quei mattoni, battuti chissà quante volte da tante persone, inconsapevoli di entrare in una parte importante della storia di Genova. Non è un caso che alcuni cantautori abbiano dedicato, a questo luogo senza tempo, frasi o intere canzoni: basti pensare a Gino Paoli che insieme ad Ornella Vanoni, ha interpretato il brano intitolato “Boccadasse”, come sempre a Boccadasse si trovava la “soffitta vicino al mare” de “La gatta”.

E le note continuano a fare da sottofondo, anche quando si arriva al capo di Santa Chiara, dove un castello in stile liberty sembra indicare il panorama di fronte a sé: e in quel  momento, di fronte all’iimmensità del mare, mi tornano alla mente i ricordi della mia” Zena“. Da Gilberto Govi a Fabrizio De André, passando per Luigi Tenco e Bruno Lauzi; il mugugno, il pesto, la focaccia, i caruggi, Corso Italia, l’odore del salino, il Genoa e la lanterna. Questa è “Genova per me”: e dopo essere stata  parte di uno scorcio cosi infinito, chi ci vuole tornare, “ai giorni tutti uguali”?